MI sono trovato al Marina Caffè Noir, festival letterario a Cagliari quasi per caso. L'ho sempre poco frequentato per l'orientamento degli organizzatori e degli ospiti di sinistra spinta.
Ho ascoltato un Reading di un attore del libro di Maurizio Carucci "Non esiste un posto al mondo".
Un libro di spostamenti, di insofferenza. In particolare sentivo del suoi periodo di permanenza sull'Appennino per fare un poco l'agricoltore.
Si capiva dopo poco che non sarebbe rimasto a lungo sul posto nonostante la sviolinata agro-bucolica verso la vita dell'agricoltore.
Lui, zappatore per caso, ci racconta di come gli imprenditori agricoli siano cattivi mentre i piccoli coltivatori diretti siano la salvezza per la natura e per la salute.
Non credo che il libro diventerà campione di vendite ma a sentire certe cose viene proprio da incazzarsi.
I miei parenti sono coltivatori diretti e non imprenditori agricoli, conosco anche titolari di imprese agricole.
Nessuno è così felice come il nostro allegro pianta semi. Non solo il lavoro è durissimo ma, data la concorrenza dei prodotti internazionali, i guadagni sono sempre al limite.
Magari qui in Sardegna le cose sono più difficili con un clima sempre più impazzito e l'acqua incostante.
Chi coltiva carciofi, per esempio - abbiamo una varietà di carciofi spinosi deliziosa - ogni anno ha un piccolo guaio: una gelata, una grandinata inopportuna, troppo caldo, e il prodotto si riduce fino al 10/20 %.
Tante variabili, legate al clima anche per chi ha delle serre. Il prodotto e la sua quantità non sono mai garantiti.
Chi fa l'agricoltore oggi, lo fa con grandi rischi e con le stesse enormi fatiche di un tempo, la rendita e il mantenimento di una famiglia, nonostante "le pezze" statali e europee, non sempre sono garantiti
La descrizione bucolica di un figlio della città che per poco ha tenuto la zappa in mano è ridicola.
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