Gianni Minà
Ancora una volta dovrei ricordarmi di mia madre:”non si parla male dei morti”. Però a me tutto questo incenso post-mortem da fastidio. Minà era un giornalista paludato nella Rai dei social-democristiani. Ha avuto fama e ascolti perché le scelte in tv erano ben poche. Nei suoi programmi aveva ospiti interessanti ma lui era insopportabile nelle sue eccessive lodi e nei falsi miti che avrebbe voluto creare. Massimo Troisi, ospite, fa ridere ma dice la verità e lo fa nero. Non era né acuto e nemmeno particolarmente intelligente nelle domande. Da vero comunista lodava la dittatura di Fidel Castro arrivando a negare - o avallare - la mancanza di libertà nel nome di un buon servizio sanitario. Peccato che Cuba resti una delle nazioni più povere del centro-omerica. Lodato perché era lì, in TV, probabilmente con un calcio nel sedere di qualche politico come la maggior parte dei giornalisti.
Aveva iniziato con lo sport con gente che nelle telecronache non distingueva i giocatori delle nazionali più importanti, o che si poteva permettere telecronache di pallavolo senza capire assolutamente nulla.
Diceva di “Rompere gli schemi” ma allora era facilissimo in quel mare di conformisti sponsorizzati dal proprio politico di riferimento.
Come spesso accade, l’esposizione mediatica premia chiunque appaia sul piccolo (o grande) schermo.
Oggi gli eroi stanno in una casa chiusi a dire cazzate senza avere nessun merito e nessuna vera fama.
Poi ci sono giornalisti e giornaliste che brandiscono falci e martelli, mostrano visi super plasticati, girano in panfilo ma si ergono a paladini del proletariato
Minà, secondo il mio modo di vedere, ha avuto il merito di esser stato politicamente più moderato - non certo neutrale - di tanti altri;
Le sciocchezze su Castro le ha dette dopo, dal divano di casa.
Certamente più obiettivo di Fabio Fazio il quale ci appioppa, dietro la sua faccia da bietolone, solo le idee politiche della sua parte. Con i soldi di tutti, ovviamente
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